Archivi categoria: vita quotidiana

Lettori ibridi in cerca della loro lettura, una sfida per l’industria culturale e per nuovi tipi di editori

Il lettore ibrido del XXI secolo

A pochi giorni da Librinnovando 2015, uno degli appuntamenti da non perdere se vi interessate di editoria digitale, viviamo ancora gli echi di una tempesta in un bicchier d’acqua scatenata un mese fa da un articolo del New York Times: “Colpo di scena, le vendite di ebook non tengono e la stampa è lungi dall’esser morta” (cliccate qui per il pezzo originale a firma di Alexandra Alter). Naturalmente in un lampo, in Italia, siamo passati subito da un’analisi pacata al pensiero paranoico. I sostenitori a tutti i costi dell’avvento del libro elettronico puntano il dito contro gli editori: “È colpa loro, mantengono i prezzi alti per soffocare sul nascere il mercato”. I fan del libro tradizionale esultano: “Hai visto? Non poteva durare la lettura non analogica, il libro è salvo”. E intanto? Gli italiani (e gli statunitensi ecc.) si stufano e nel dubbio smettono di leggere sia libri di carta sia ebook…

[Un altro modo di vederla è che chi come noi è dentro al cambiamento inizia ben presto a non rendersi conto della strada fatta, o, più semplice, del tempo che è passato. Quando ho aperto questo blog quattro anni fa eravamo in pochi a leggere in formato digitale, chi come me aveva iniziato nel 2011 non poteva neppure dirsi un pioniere, il primo Kindle era stato lanciato alla fine del 2007. Teniamo bene a mente queste date. Vi rendete conto che ora le principali novità di tutti gli editori principali del nostro paese escono anche in digitale? I più coscienziosi lo segnalano perfino in aletta: attenzione, questo titolo esiste anche in formato ebook. “Eh, ma costano troppo!”. Abbiamo dimenticato che i prezzi non li facciamo noi consumatori? Provate ad andare da un gelataio a contestargli quanto costa un cono, diamine, in fondo è solo un po’ di acqua, latte, zucchero e poco altro].

… (perdonate la digressione), attenzione, il che non significa non leggere più. Si legge moltissimo oggi. Siamo circondati da parole, le avete sotto gli occhi proprio adesso. Ora più che mai, da quando ci alziamo a quando andiamo a coricarci, è difficile che il nostro sguardo possa sfuggire ai contorni di uno schermo. Mario Mancini e il team di goWare (qui la mia intervista agli animatori di questa start-up editoriale digitale) riassumono bene quel che sta succedendo ora, a metà degli anni dieci del XXI secolo, nell’introduzione all’ebook da loro curato intitolato Schermocracy: “Nel 2020 l’80% dell’umanità avrà un dispositivo con la potenzialità di leggere un ebook”. Noi ce l’abbiamo già in tasca o nella borsa. È il nostro smartphone. È questo strumento che sta creando il lettore ibrido di cui intravediamo il profilo in ricerche recenti sulla lettura come quelle del PEW Research Center.

Potrebbe anche essere lo strumento giusto per sdoganare un concetto sacrosanto, “Molti sono i modi di lettura possibili, tutti altrettanto validi” come affermato da Luisa Bartolucci, componente della Direzione Nazionale dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) su www.superando.it. A molti modi di lettura potenziali si devono accompagnare molti formati di lettura acquistabili, come gli audiolibri che non a caso (non in Italia ma all’estero) si stanno guadagnando la loro fetta di mercato grazie alla digitalizzazione e ai telefoni portatili. Cos’è più comodo ascoltare? Un romanzo su cinque CD o su un MP3? Per chi volesse approfondire, consiglio l’articolo di James Kidd: The surge in popularity of the audiobook begs the question: is pressing play the best way to read? Possono permettersi oggi industria editoriale e nuovi editori di veicolare una storia in solo formato?

A chi deve votarsi oggi chi pretende di guadagnare con la letteratura o la saggistica? A chi da sempre lo segue in modo fideistico oppure al consumatore agnostico di media di cui parlava già nel 2013 Don Katz, fondatore e amministratore delegato di Audible [azienda che produce audiolibri di proprietà di Amazon], un consumatore che “non bada alla differenza di fare un’esperienza testuale, visiva o uditiva”? Autori figli del loro tempo come J.K. Rowling scommettono su questo consumatore; da una parte disorienta i fan cambiando a settembre 2015 Pottermore [il sito che divulga il mondo espanso creato dall’autrice] in veste più mobile e commerciale, dall’altra per il 2016 propone la sua nuova storia come uno spettacolo teatrale in due parti: “Il pubblico sarà d’accordo con me che il teatro era l’unico mezzo appropriato per raccontare ‘Harry Potter e il bambino maledetto'”.

Immagine | Waterworld (1995)

Lascia un commento

Archiviato in eventi salienti, vita quotidiana

Amazon e la sua editoria: gli scrittori che aderiscono a KDP Select saranno pagati a pagina letta

"I never Iiked the way the monitor Iooked. And then it occurred to me…who needs it?"

“I never Iiked the way
the monitor looked. And then it occurred to me…who needs it?”

È passata in sordina in Italia l’ultima svolta di Amazon in campo editoriale; dal 1° luglio 2015 gli aderenti al programma Kindle Direct Publishing (KDP) Select come scrive Nate Hoffelder su Ink, Bits and Pixels saranno pagati per ogni pagina “letta” dai loro lettori, non per il numero di volte che il loro ebook sarà stato preso in prestito. Ricordiamo che KDP è la piattaforma di selfpublishing di Amazon – leggete il post di Anna Campanella su scrivo.me per saperne di più – e che KDP Select (in questo specifico caso, all’interno del servizio di libri digitali in abbonamento Kindle Unlimited) è un programma di affiliazione in esclusiva alla piattaforma di Amazon per gli scrittori che si avventurano nella autopubblicazione in formato digitale.

Insomma, mentre un autorevole analista del panorama editoriale contemporaneo come Mike Shatzkin non vede nel prossimo futuro grandi sconvolgimenti – “The publishing business as we have known it is not going away anytime soon” (11 giugno 2015, www.idealog.com) –, dall’altra è indubbio che Amazon stia continuando a sperimentare sulla pelle viva dei lettori e dei creatori di contenuti. Io scrittore vengo pagato per ogni pagina letta? Allora forse devo cambiare il mio modo di scrivere se voglio assicurarmi entrate costanti nel tempo. Forse devo rinunciare a costruire un romanzo, quando dieci racconti brevi hanno più possibilità di essere letti (come sottolinea Clément Solym su www.actualitte.com: “Les auteurs indés rémunérés à la page avec Kindle Unlimited”).

A chi il mondo editoriale lo vive dall’interno è chiaro come Amazon stia diventando sempre più un editore vero e proprio, che applica però alla narrativa – il “genere” principe degli scrittori autopubblicati – un criterio economico volto più alla stesura di saggi e manuali che a quella di storie. Abbiamo bisogno di un nuovo libro sulla pesca sportiva? Contattiamo un esperto e chiediamogli se è in grado di scrivere un numero X di cartelle per un compenso Y. Solo nel caso di pubblicazioni particolari – un racconto breve che deve uscire su un settimanale oppure dev’essere pubblicato in una antologia – lo scrittore viene invitato (non sempre coglie l’antifona!) a rispettare un numero limitato di battute per rimanere nella pagina, diciamo così. E qui salta all’occhio un paradosso per chi ha più memoria.

Rammentate quando si diceva che il libro elettronico aveva finalmente liberato lo scrittore (e il lettore) dai limiti imposti dalla carta? Potrò ben prendermi Gli increati l’ultimo di Antonio Moresco da leggere sul tram anche se è lungo più di 1000 pagine, tanto c’è l’ebook che mi salva la spalla o la schiena dal suo peso. Anzi, perché non posso prendere esempio da Moresco, o altri scrittori-fiume, e pubblicare finalmente in formato elettronico quella storia della mia famiglia degli ultimi cento anni che ho da tempo nel cassetto? Quante risme di A4, corpo 11, interlinea 1 erano? Due o tre? Insomma, proprio ora che i libri si erano smaterializzati adesso Amazon per fini suoi (l’all-you-can-read funziona e attrae se le porzioni sono ridotte evidentemente) mi consiglia o di scrivere meglio o di scrivere meno!

Non so se Amazon sia la fine dell’Editoria con la E maiuscola come mi scrive Mirta su Twitter né se questo modello di remunerazione per gli scrittori possa decretare un depauperamento letterario dei testi che appaiono principalmente in formato digitale. Quello che so è che mi ricorda molto da vicino – e perdonate se il paragone è già stato fatto e anzi stia quasi diventando un nuovo cliché – quel che accadde a metà Ottocento con i feuilleton; là fuori, nella Rete, ci sono in giro nuovi (antichi) modi di raccontare storie determinate da chi (per ragioni di lucro più che culturali, certo) ha le redini della comunicazione in questo momento.

Immagine | Paycheck (2003)

Lascia un commento

Archiviato in eventi salienti, vita quotidiana

Inchiostro elettronico, scrittura e libro digitali, a che punto siamo

"Ecco perché non ha funzionato, c'è scritto Made in Japan". "E che vuol dire Doc? Tutta la roba migliore viene fatta in Giappone". "Incredibile"

“Incredibile, un affaretto così piccolo rappresenta un problema così grande… Ecco perché non ha funzionato, c’è scritto Made in Japan”. “E che vuol dire Doc? Tutta la roba migliore è fatta in Giappone”. “Incredibile”

Se capitate da queste parti perché avete acquistato un lettore di libri digitali sentitevi obsoleti, non lo sapete che gli ereader scompariranno? Sì, qui in Italia queste notizie ci arrivano perlopiù di riporto ma pare che non si vendano più ereader – leggi: Kindle – come una volta (Andrew Trotman, “Kindle sales have ‘disappeared’, says UK’s largest book retailer”, The Telegraph, 6 gennaio 2015) e che la crescita dei libri elettronici nel mercato USA nel 2014 abbia rallentato fino a stabilizzarsi su un terzo circa del totale mentre nel nostro paese tale quota sia ancora stabilmente sotto il 5% (Sabina Minardi, “Libri, la resistenza dei lettori forti”, L’Espresso, 14 febbraio 2015). Come afferma Edoardo Brugnatelli (Mondadori): “L’ebook reader è uno strano mostro destinato a svanire”, un commento a margine dell’evento “Editoria, innovazione digitale e nuove forme di scouting”, 21 febbraio 2015, clicccate qui per leggere lo storify a cura di Libromania.

Insieme alla brutta notizia Brugnatelli però ci consola, il lettore che ha fra le mani un ereader in questo scorcio di XXI secolo non è solo un lettore “forte” – secondo le statistiche colui che legge più di dieci libri l’anno – ma un lettore “forte fortissimo” (dichiarazione raccolta durante la Social Media Week di Milano, 25 febbraio 2015). Una bestia rara nel nostro paese. Se vi hanno regalato un Kindle, un Kobo o un Tolino questo natale prendetelo come un attestato di stima. Il discorso di Brugnatelli è pragmatico del resto, chi lavora in editoria deve occuparsi anche dei lettori digitali che approcciano la lettura via tablet/smartphone – mezzi più diffusi che consentono di interagire con il libro in modi più vari di quelli possibili con un ereader. Anche Fabrizio Venerandi, editore e tipografo digitale, in un suo post fotografa un dato di fatto, a prescindere dal supporto gli ebook sono in mezzo a noi, sebbene in Italia questo sia vero solo per l’avanguardia della curiosa e ridotta comunità che si identifica nella definizione di lettore o lettrice.

Non lo so se tra dieci anni guarderò ai miei ereader come negli anni Novanta allegro fruitore di CD guardavo ai giradischi ma so che a inizio 2015 Vodafone (e 3) ha portato nei negozi italiani un dispositivo ibrido molto interessante. Uno smartphone dal doppio schermo, uno LCD e uno e-ink, sì proprio quello del vostro lettore digitale. Federica Dardi ha scritto una recensione completa dello Yotaphone 2 cui vi rimando per foto e riflessioni. 750 euro sono molti per un telefonino del genere ma già ci stiamo avvicinando a uno dei futuri possibili per i lettori di oggi, sempre in mobilità, connessi e liberi dalla retroilluminazione – non si può aggiungere allo sforzo della lettura anche l’affaticamento dell’occhio bombardato dalla luce dei display attuali. Perché già oggi non ci sono in commercio altri smartphone di questo tipo? Perché l’inchiostro elettronico è monopolio di una sola azienda, l’E-Ink Holdings. Difficile avere schermi a basso costo quando a produrli è soltano un attore del mercato.

In attesa degli smart ereader o phonreader che sono sicuro non dispiacerebbero né a Brugnatelli né a Venerandi l’equivoco di fondo di chi si arrocca in difesa della lettura tradizionale su carta, del fatto che gli studenti preferiscano ancora il caro vecchio prodotto cartaceo altrimenti non ricordano bene cosa leggono (sic! un articolo fra i tanti, Alice Vigna, “La lettura digitale ci cambierà? Meno attenzione e memoria”, Corriere della Sera, 12 febbraio 2015), è dimenticare come la scrittura sia già diventata una sequenza di zero e uno. I libri nascono digitali e si stampano analogici. I programmi di impaginazione hanno soppiantato gli addetti alla fotocomposizione da decenni e l’industria editoriale vive il paradosso di essere già digitale a monte quando per campare “deve” essere cartacea a valle. È una contraddizione destinata a esplodere come accaduto per il giornalismo. Tra le tante reazioni possibili: fare sempre meglio quel che si è sempre fatto (il libro di carta) oppure, nascendo editori oggi, fare al meglio il proprio libro digitale, non così per provare.

Torniamo all’inchiostro elettronico. Può darsi che sia una tecnologia destinata a scomparire tuttavia, se è dalle piccole cose che possiamo intravedere i grandi cambiamenti, prestiamo ad esempio attenzione al “micro”: le etichette dei prezzi nei supermercati (in Italia cercate nei SISA) potrebbero passare dalla carta all’inchiostro e-ink (anche a due colori rosso e nero) nel breve termine. Non perché la grande distribuzione organizzata sia attenta al consumo di carta quanto perché cambiare da remoto tutti i prezzi di uno scaffale con un clik consentirebbe di liberare da questo compito un addetto espressamente adibito a quello scopo. Abbiamo ancora bisogno di leggere quanto costano banane e barattoli ma ciò che troviamo “stampato” nel nostro mondo analogico si sta allontanando velocemente dalla stampa tradizionale. Non so se mi sono affezionato troppo ai dispositivi a inchiostro elettronico per vederli condannati così presto all’obsolescenza ma di sicuro so che la lettura oggi ha bisogno di una buona ed economica carta elettronica.

Immagine | Ritorno al futuro – Parte III (1990)

4 commenti

Archiviato in eventi salienti, vita quotidiana

Antoine Laurain, La donna dal taccuino rosso, il gatto si rifiutava di dire alcunché

La donna dal taccuino rosso di Antoine Laurain

La donna dal taccuino rosso di Antoine Laurain

La donna dal taccuino rosso di Antoine Laurain
Traduzione di Margherita Botto
Einaudi Editore, 2015, 170 pp., 17 € (cartaceo), 9,99 € (ebook)

«Il gatto socchiuse i suoi occhi d’oro e fissò la padrona. Laure pensò alla dea egizia Bastet: Belfagor aveva assunto esattamente la stessa posa».

Grazie alla gentilezza dell’editore ho potuto leggere un giorno prima dell’uscita in libreria La donna dal taccuino rosso di Antoine Laurain, incuriosito più che altro dalla bella copertina dove una donna con un vestito rosso a pois (se leggete la storia rimpiagerete che non sia invece bianco) guarda attraverso una vetrina (?). Non conoscevo l’autore che in Italia fin’ora ha visto uscire tre libri – i primi due sono “Il cappello di Mitterrand”, Atmosphere libri, 2013 (in ebook a meno di due euro) e “Undicesimo: fuma. Storia efferata di delitti e sigarette” Vallecchi, 2009 – su cinque della sua produzione letteraria. Chissà che Einaudi non riesca a dare più visibilità a uno scrittore che si è rivelato una piacevole sorpresa, almeno per me. “La donna dal taccuino rosso” appartiene alla categoria delle storie deliziose, i cinici sono avvisati.

La trama è in apparenza semplice, a una donna viene rubata una borsa, un uomo la ritrova e si mette in testa di cercare la sua proprietaria basandosi solo sugli “indizi” contenuti in essa. In mezzo c’è Parigi e non è certo poco. Alla larga tutti quelli che non ne possono più di arrondissement, di appartamenti in stabili ottocenteschi, di bistrot dai camerieri gentili e persone affascinanti, di librerie in ogni via… benvenuti tutti gli altri. Dato che scriviamo all’inizio del XXI secolo, questa storia fosse stata raccontata da altri media non avrebbe potuto essere un film, troppo breve, né un cortometraggio, troppo lungo. Una miniserie in quattro puntate probabilmente, dove il regista – mi arrogo questo ruolo, concedetemelo – avrebbe omesso appena le ultime due pagine del libro. E qui mi fermo.

Una storia dove uno degli elementi funzionali della trama è nientepopodimeno che un premio Nobel per la letteratura, Patrick Modiano, tuttavia non può essere un intreccio banale, buttato giù di corsa da un ex giornalista francese la cui biografia su wikipedia.fr recita così: Antoine Laurain est un écrivain français né à Paris. Un rigo e basta, giuro. In realtà “La donna dal taccuino rosso” è una piccola miniera di citazioni di altri libri, di strizzatine d’occhio all’attualità, di velata e divertita critica a determinate classi sociali, non si esaurisce vale a dire nel cliché o nell’equazione “ragazzo cerca ragazza incomprensione ragazza cerca ragazzo”. La storia scorre veloce, si legge in un giorno o poco più, rimane poi la voglia di rileggerla con più calma per riprendere particolari sfuggiti in un primo momento.

Anche i gatti che appaiono nel corso della vicenda, in particolare Belfagor, ricoprono un ruolo non decorativo ma strutturale. Non vivremmo tutti meglio se fossimo almeno in parte come loro? pare che suggerisca l’autore sin dalle prime pagine. A un certo punto mi sono ritrovato a sovrapporre il protagonista maschile al gatto della donna dal taccuino rosso. Chissà, nascerà da una simile fantasia l’idea che ha dato vita a questa storia? A ogni modo solo un uomo molto curioso avrebbe potuto rintracciare la proprietaria della borsa perduta e non è affatto detto che un gatto avrebbe avuto tutta questa voglia di rintracciare un proprio simile. Qui finiscono le analogie tra i gatti e gli umani protagonisti di questa vicenda, che rientrano invece nella categoria di quelli che alla solitudine non voglio darla vinta, se li aiuta poi il destino…

“La donna dal taccuino rosso” l’avrete capito è una storia lieve come l’acqua di una fonte d’alta quota, tuttavia è anche ricca di “proprietà” nascoste e come minimo incuriosisce il lettore più pigro, mi piace pensare, lasciando cadere in lui il seme di saperne di più sulle donne, sugli uomini, sui gatti, sulle librerie, su Modiano, su Parigi, sulle dorature… per citare solo alcuni degli spunti che non casualmente (non c’è nulla di casuale in questa storia di Laurain) questo scrittore francese ha disseminato per tutta la vicenda. E ora sono talmente preso bene, come direbbe la figlia del protagonista, Chloé, se fosse italiana e non francese, che corro subito a comprare l’ebook di “Il cappello di Mitterrand”, una storia diversa da quella appena pubblicata da Einaudi, di cui in Rete si dice un gran bene.

2 commenti

Archiviato in ebook recensioni, vita quotidiana

Case editrici digitali: Lettere Animate Editore, da Martina Franca ebook di narrativa italiana per una editoria senza fronzoli

"L'Home Page vetrina della casa editrice Lettere Animate"

“L’Home Page vetrina della casa editrice Lettere Animate”

Complice Twitter sono venuto a sapere dell’esistenza di una casa editrice pugliese di libri digitali, Lettere Animate Editore; che cosa pubblica questa giovanissima realtà della provincia di Taranto? Fantascienza, fantasy, thriller, erotismo (romanzi) e racconti brevi, sono davvero aperti a buona parte dei desiderata degli aspiranti scrittori di oggi. Ricevono, selezionano, curano e pubblicano in digitale gli autori su cui scommettono premettendo: “Noi non abbiamo la pretesa di lanciare prodotti perfetti, noi vogliamo lanciare prodotti visibili”. Di sicuro li trovate dappertutto, da Amazon, Apple, laFeltrinelli, Kobo fino a Ultima Books, Bookrepublic ecc. Proprio questo approccio esplicitamente commerciale all’oggetto libro (o alla commodity ebook se volete) mi ha incuriosito e mi ha spinto a contattare Roberto Incagnoli, il direttore editoriale di Lettere Animate.

A gennaio 2015 festeggerete tre anni di attività, avete già quasi una cinquantina di testi pubblicati in formato cartaceo mentre gli ebook se non andiamo errati sono quasi 300… la sensazione è che l’editoria digitale corra veloce rispetto a quella tradizionale, non siete per intederci un editore che in dieci anni pubblica poco più di cento libri o che abbia paura di abitudini di lettura “nuove”, nate insieme al XXI secolo (tablet, smartphone ecc.), è così?

RI: Tre anni sono tanti nell’editoria di oggi, già esserci arrivati è un grande successo. Noi abbiamo uno standard di pubblicazione che in questi tre anni abbiamo adattato al mercato e alle esigenze di budget e di business plan. Siamo partiti pubblicando in cartaceo, per poi fare le doppie versioni (cartaceo+ebook) per poi dedicarci solo al digitale per una questione meramente distributiva. Da gennaio molti dei nostri titoli digitali saranno anche in “print-on-demand”. Cerchiamo di adattarci al tempo in cui si vuole fare commercio, al tipo di commercio più idoneo per dare visibilità a noi e ai nostri autori. Crediamo nel digitale e crediamo in una fruizione libera dei contenuti. Molte volte dico ai nostri autori che l’unico modo di emergere per uno “sconosciuto” è il free download per poi creare, sopra i numeri dell’ebook gratuito, il prodotto commerciale.

Un primo bilancio? Perdonami ma è una domanda d’obbligo per tutte le case editrici appena nate e, permetti, per 4/5 digitali come la vostra, che contatto. Siete una realtà piccola (tre persone, tu, Daniela e Mary) che riesce a stare in piedi soprattutto con le vedite degli ebook – ancora risicate nel nostro paese se guardiamo invece agli USA – oppure il vostro modello di business ha necessità, come per altri editori medi-piccoli, di altre entrate? Se sì quali?

RI: Riguardo al bilancio di cui mi chiedi, ti riassumo i numeri dell’ultimo anno (2014) in cui abbiamo virato decisamente al digitale facendo scaricare (sia a pagamento che gratuitamente) circa 40.000 ebook. Può sembrare un numero alto (economicamente) ma non lo è, perché tra IVA, distribuzione e tasse varie non rimane moltissimo e quello che noi facciamo è re-investire totalmente gli introiti della casa editrice. Il discorso altri lavori è un discorso che può essere applicato a molti ambiti lavorativi. Io sono un consulente, ho lavorato per molti anni in vari settori sia da privato sia come dipendente, sarebbe alquanto sciocco “rifiutare” lavori esterni di consulenza, però il mio e il nostro laovoro rimane focalizzato su Lettere Animate.

Leggendo il tuo blog personale (robincagnoli.tumblr.com) Roberto e navigando nel sito della vostra casa editrice è forte la sensazione che, pur volendo appartenere al mondo editoriale italiano a pieno titolo, sentiate forte l’esigenza di differenziarvi da quello che è esistito finora, ci sbagliamo? Una curiosità, che rapporti avete con altre realtà simili alla vostra? Pensiamo a editori come goWare, Lite Editions e Nobook che a giugno 2014 hanno organizzato a Milano una colazione in cui si sono riunite presentando i loro autori.

RI: Non abbiamo la presunzione di dire “stiamo innovando” abbiamo l’onestà intelettuale di dire “facciamo o cerchiamo di fare delle cose diverse” che non sempre è un bene. Abbiamo un modo di lavorare sicuramente differente da quello dell’editoria tradizionale (piccola o grande che sia) non ce la sentiamo di giudicare l’operato altrui (anche se spesso veniamo giudicati con strana cruenza), di solito l’unione fa la forza ma crea anche delle rivalità professionali sulle linee da seguire. Noi non avremmo nessun problema a confrontarci con altre realtà per creare una tavola rotonda e imboccare una direzione utile per tutti, spesso però vedo idee discutibili e modi di comportarsi altrettanto discutibili. Però se altre realtà digitali volessero parlarci sarebbe utile. Ho anche espresso la volontà di avere un confronto pubblico (per esempio in un hangout di Google) a più editori. Vedremo se ci sarà qualcuno che lo vorrà organizzare.

Avete la vostra sede a Martina Franca in provincia di Taranto. Ai tempi dell’editoria 1.0 sareste stati principalmente un “editore del territorio” lontani come siete sia dalle canoniche città del libro – Milano, Roma, Torino… – sia dal vostro stesso capoluogo di regione. Cosa significa fondare una casa editrice digitale oggi? Forse aprirsi all’Italia intera nel vostro caso? Oppure avete comunque un occhio di riguardo per la Puglia?

RI: Il territorio per me non è mai stato un problema, è il territorio che è un problema per il territorio stesso. Le difficoltà ci sono specialmente perché abbiamo in mente di aprire una “accademy” dedicata agli scrittori (e agli artisti in generale) e il nostro territorio è troppo isolato per poter accogliere idee di questo genere. Aprire una casa editrice digitale oggi è facile, è facile dire in rete “siamo dei geni del marketing” condividendo qualche post simpatico, è facile avere visibilità ma è molto difficile gettare solide fondamenta. Bisogna avere delle conoscenze di base e queste conoscenze devono essere studiate. Sicuramente la Rete aiuta a non avere confini, dall’altro lato non si ha però una conoscenza netta del territorio in cui ci si trova. Nel 2015 apriremo una collana dedicata alla Puglia e alle sue tradizioni anche se in questi tre anni la Puglia, e in particolare Martina Franca, ha ignorato completamente il nostro lavoro di valorizzazione. Questa rimane la criticità principale di chi vive in realtà chiuse come la nostra.

Puntate solo su autori in cui credete e siete trasparenti con loro per quanto riguarda i contratti e tutto quel che riguarda il libro/ebook una volta che è stato immesso nel mercato. Lettere Animate Editore, oltre a essere una una casa editrice di vetro, è un’azienda che rivendica pure una vocazione generalista pubblicando storie appartenenti a tanti generi diversi senza per questo inquadrarli in collane. Non vi sentite a volte troppo sbilanciati verso l’autore, privi di una vostra identità? O nell’era Amazon questo è normale?

RI: Questa è una questione commerciale, probabilmente tornado indietro faremmo alcune scelte diverse (non parlo né di libri né di autori) per quanto rigaurda alcune impostazioni aziendali, però cerchiamo di prendere un bacino d’utenza vasto e vario. Noi non facciamo “cultura”, facciamo commercio, la cultura è qualcosa di troppo alto per avere l’obiettivo di poterla anche solo creare, un’azienda, senza troppi finti moralismi, deve fare commercio, deve incassare e provare a ingrandirsi. Per questo non abbiamo limiti sul contenuto dei nostri prodotti.

Lascia un commento

Archiviato in vita quotidiana

Startup editoriali digitali: Bookolico, dalla vendita allo streaming degli ebook anche in Italia

9,90 euro al mese per leggere tutti i libri digitali che ti piacciono? Bookolico

9,90 euro al mese per leggere tutti i libri digitali che ti piacciono? Bookolico

Libri digitali in abbonamento? Sembra che questa fine 2014 abbia messo il pedale sull’acceleratore per quel che riguarda l’alterità dell’ebook rispetto al libro tradizionale. Non solo il libro digitale non ha più un supporto fisico ma forse il suo modello di fruizione si sposa meglio con una tariffa d’accesso fissa rispetto a un prezzo di copertina un tanto a titolo. Bookolico propone proprio questo, a poco meno di dieci euro al mese ti faccio leggere tutte le storie che vuoi. Grazie alla loro disponibilità ho fatto una chiacchierata con Marco Cardillo – come prima di me hanno fatto i ragazzi di Way to ePub – per capire meglio la loro offerta. 

Complice il lancio di Kindle Unlimited in Italia questo autunno, Bookolico sta guadagnando molta visibilità; tuttavia oltre a essere una start-up impegnata nell’editoria digitale almeno dal 2012, e questo l’abbiamo capito, siete prima di tutto delle persone. Quanti siete, chi siete e quali esperienze avete? Come si è costruita la squadra che sta dietro alla vostra piattaforma?

Il team di Bookolico è composto da quattro ragazzi, tutti under-30. Le nostre competenze sono molto eterogenee, e probabilmente questo è uno dei nostri punti di forza. Abbiamo creato Bookolico una volta conclusa l’università: Giuseppe, da cui tutto è partito all’inizio del 2012, è laureato in Ingegneria Gestionale; Davide in Ingegneria Informatica; Gianluca in Economia e direzione delle imprese; infine, ci sono io, Marco, laureato in Psicologia dell’Organizzazione. Insomma, quattro percorsi formativi e professionali diversi, che si sono integrati in Bookolico.

La vostra mission dichiarata è nientemeno che la creazione di un nuovo modello editoriale, parole vostre. Quali rapporti avete con altre realtà italiane – pensiamo a Bookstreams per rimanere nel vostro ambito – o straniere magari che stanno percorrendo la vostra stessa strada? Quali sono le vostre previsioni di crescita per il vostro modello di business?

La nostra mission è, in effetti, molto ambiziosa. Ma per creare una startup digitale, in Italia, nel mondo dell’editoria… devi necessariamente essere ambizioso. Il nuovo modello editoriale che proponiamo consiste nel passaggio dall’economia della vendita, all’economia dello streaming. In altre parole, le persone, anziché comprare il prodotto, lo usano in streaming, pagando un abbonamento. Questo non cambia soltanto le abitudini del lettore; ma cambia, forse ancora di più, le abitudini dell’editore, che inizia a guadagnare i propri soldi in un modo completamente nuovo rispetto al passato, e a cogliere opportunità che non avrebbe mai immaginato prima. In Italia ci sono altre realtà simili alla nostra, ma con differenze sostanziali. Tu ricordi Bookstreams, ma va citato anche il progetto LEA di Laterza e, ovviamente, Kindle Unlimited di Amazon. Tutti servizi interessanti, ognuno con le proprie peculiarità. Nel mondo, invece, ci piace molto l’americana Oyster, così come la spagnola 24Symbols. Noi, comunque, crediamo di avere alcuni vantaggi rispetto agli altri servizi; speriamo di convincere di questo editori e lettori!

Rileggendo un po’ la vostra storia ci è parso di capire che un punto di svolta per voi sia stato il passaggio da piattaforma per ebook scritti da selfpublisher a piattaforma per ebook curati da editori. Cosa vi ha portato a questa scelta? Cosa pensate di Kindle Unlimited che offre entrambi questi ebook con momentaneamente netta prevalenza degli ebook autopubblicati?

Abbiamo scelto di cambiare strada perché l’esperienza con il selfpublishing ci ha permesso di conoscere da vicino l’industria editoriale, i suoi problemi e le sue prospettive future. Così abbiamo iniziato a coltivare il grande sogno di creare una piattaforma per la lettura di ebook in streaming, tramite abbonamento. Insomma, una sorta di Spotify per i libri. Il progetto, quindi, nasce dall’analisi del mercato e dei suoi trend; ma è arricchito dalla nostra visione e ambizione, senza le quali non saremmo qui. Il selfpublishing, comunque, è uno degli aspetti più interessanti dell’editoria contemporanea, e non è assolutamente escluso che riprenderemo a trattarlo, un giorno. Se Kindle Unlimited, così come Oyster e altri, offrono anche titoli autopubblicati, è fondamentalmente per incrementare la quantità di titoli in catalogo. La grande sfida per tutti i servizi di streaming di ebook, infatti, è quella di mettere insieme un catalogo grande ed eterogeneo, coinvolgendo sia le case editrici più famose, sia quelle piccole e indipendenti. 

Bookolico_2

Siete prossimi al lancio ufficiale della vostra piattaforma, come sta andando la fase di sperimentazione? Cosa avete imparato dagli utenti che l’hanno sperimentata finora? Bookolico ha una parte social di condivisione delle letture che ci ricorda quelle sperimentate da Amazon e Kobo tra gli altri, che peso ha all’interno del vostro progetto? Quanto l’hanno sfruttata i beta tester del servizio?

Siamo molto soddisfatti dei risultati del test. Il nostro scopo era ricevere feedback sia dai lettori sia dagli editori. I lettori hanno apprezzato questa nuova modalità di lettura, in particolare la possibilità di navigare facilmente tra un libro e l’altro, senza limiti di tempo e senza fare alcun download. Inoltre il test si è rivelato utilissimo per tutte le segnalazioni che abbiamo raccolto, le critiche costruttive e i suggerimenti. La nostra parte social è ancora ad uno stadio embrionale, come del resto tutta l’app; devo dire, però, che ai lettori piace molto la possibilità di votare e commentare i libri, creare la propria libreria e sbirciare quella degli altri utenti. D’altronde, servizi come aNobii e Goodreads dimostrano che il social network per i libri funziona. Quello che Bookolico aggiunge, è la possibilità di leggere anche i libri. Agli editori, invece, abbiamo chiesto di testare l’applicazione per toccare con mano la sostenibilità economica del nostro modello. Proprio in questi giorni stiamo distribuendo gli incassi del mese di ottobre… adesso aspettiamo i feedback degli editori a riguardo.

Raffreddiamo un po’ gli entusiasmi di chi come me avrebbe voluto provare subito la vostra piattaforma; “solo” chi ha un iPad può diventare un utente Bookolico: state già lavorando per espandervi in ambienti Android? Anche se leader, Apple sta perdendo terreno in questo mercato. Infine, rispetto agli ebook reader come vi ponete? Rientrano nel vostro progetto?

La nostra intenzione è rendere Bookolico un’app multi-device. Apple rappresenta solo il punto di partenza, ma, man mano che cresceremo, vogliamo perfezionare l’app (c’è ancora tantissimo lavoro da fare) e portarla al più presto sui tablet Android, sugli smartphone e su desktop. Per gli ereader è un po’ più complicato, dato che generalmente non sono così sofisticati tecnologicamente da supportare una vera e propria app. Ma di sicuro li teniamo in considerazione. Anzi, posso anticiparti che Bookolico è piaciuta molto a una società produttrice di ereader; stiamo cercando di capire come possiamo collaborare insieme. 

A Kindle Unlimited ha aderito una minoranza degli editori storici italiani (Giunti, Newton Compton e Fazi); scorrendo la vostra “vetrina” vediamo sigle editoriali che della proposta in streaming di Amazon per ora non si vedono come Feltrinelli, Hoepli…  come sta andando la vostra campagna di reclutamento? A pieno regime in quanti saranno presenti sulla vostra piattaforma e con quali titoli? 

Gli editori che hanno firmato il nostro contratto sono circa una trentina. Alcuni di loro in realtà stanno solo testando il servizio fino alla fine di novembre. Valuteranno in seguito se aderire o meno. Siamo fiduciosi su molti di loro… speriamo bene! Pensiamo che il numero degli editori aumenterà sensibilmente una volta che saremo online, quindi il catalogo attuale è soltanto un punto di partenza. Per quanto riguarda la scelta dei libri da inserire sulla nostra piattaforma, lasciamo decidere gli editori. Generalmente, comunque, gli editori aderiscono con il loro intero catalogo di ebook.

4 commenti

Archiviato in eventi salienti, vita quotidiana

Francesco M. Cataluccio, Che fine faranno i libri? Per guardare lucidamente avanti

Che fine faranno i libri? di Francesco M. Cataluccio

Che fine faranno i libri?
di Francesco M. Cataluccio

Che fine faranno i libri? di Francesco M. Cataluccio
nottetempo, 2010, 2,99 €

«Nemmeno il lettore piú bulimico riuscirebbe a star dietro alla produzione libraria odierna. La prospettiva di analisi va capovolta: ci sono troppi libri interessanti e troppi pochi lettori (e anche questi non hanno tempo a sufficienza per leggere tutto). Cosí accade che ogni libro venda poco e gli editori, e gli autori, finiscano col guadagnarci molto meno rispetto alle potenzialità dell’argomento. Ma la ricchezza e la varietà dell’offerta sono una delle poche caratteristiche positive della nostra cultura. Tentare di limitarle o regolamentarle sarebbe, oltre che impossibile, assolutamente sbagliato.».

Premessa (un’altra), non avrei mai comprato un titolo “gransasso” – questo il nome della collana – nottetempo di carta, non mi piacciono i minilibri, ma non vedo perché, per il costo di tre caffè, non debba regalarmi questo brevissimo testo di Francesco M. Cataluccio in digitale. Non conoscevo l’autore prima di ieri mattina quando ho letto un suo pezzo (“Lavorare per vivere”) sul Post che rispecchia il mio pensiero su troppi argomenti per non farmelo subito risultare simpatico; che bello scoprire poi che per vent’anni aveva bazzicato l’editoria e che aveva scritto nel 2010 alcune riflessioni sulle trasformazioni in atto in questo campo!

Non sapevo ad esempio che già cinque anni fa un editore come Roberto Civita, proprietario del Grupo Abril, il più grande conglomerato mediatico dell’America Latina, avesse compreso come “il dialogo non è più con i lettori, ma con i lettori che dialogano tra loro, e questo cambia la dinamica dell’impresa”. Cataluccio cita questa frase per parlare dei giornalisti e dei giornali del XXI secolo, che sempre di più devono mettere a disposizione nel racconto dell’informazione gli stessi strumenti utilizzati dai loro lettori: video, suoni ecc. ma un discorso analogo può essere fatto per gli editori tradizionali che non possono più campare solo sui lettori del libro stampato.

Cataluccio descrive all’inizio del suo breve saggio un lettore digitale, o meglio, il Kindle che si poteva acquistare all’epoca: costoso, ancora con uno schermo poco risoluto e privo di illuminazione. Anche cinque anni fa non senza ironia diceva: “Ho qui accanto a me il ‘nemico’ [del libro]”. Tuttavia centrava il punto riconoscendo nell’ereader non un avversario della lettura ma viceversa un potente apparato di lettura profetizzando che il libro smaterializzato, “divenendo meno certa la natura dell’autore, [farà sì che si] rafforzerà e assumerà maggiore importanza la figura dell’editore”.

In attesa che questa previsione si avveri (o gli editori si sveglino) è stata Amazon tuttavia a diventare in questo lustro più forte degli editori tradizionali, più influente persino di Apple, che del mercato del libro digitale, forse anche a causa della dipartita di Jobs, ha perso da tempo la bussola. Cataluccio del resto non poteva immaginare che Cupertino con il suo iPad appena presentato nel 2010 non avrebbe influito più di tanto nella diffusione del libro elettronico, a prender per buone le dichiarazioni di un suo dirigente Apple aveva appena un quinto del mercato degli ebook negli USA a metà 2013.

È utile rileggere oggi Che fine faranno i libri?, un testo ignaro dell’attuale battaglia tra Amazon (che detiene il potente apparato di lettura di cui sopra) e gli editori del pianeta tutti, confrontandolo magari con testi più recenti – uno su tutti Come finisce il libro di Alessandro Gazoia – che vedono un destino più incerto per il libro digitale. “Di fronte a una rivoluzione radicale, che renderà i libri immateriali e per certi aspetti incerti, non più chiusi e definitivi, [stiamo badando] a salvare l’idea del libro”? Questa affermazione dell’autore che ho girato in interrogativo non ha per ora risposta.

Lascia un commento

Archiviato in ebook recensioni, vita quotidiana

Laura Imai Messina, Tokyo Orizzontale, fa caldo questa notte e l’eclisse si avvicina

Tokyo orizzontale di Laura Imai Messina

Tokyo Orizzontale di Laura Imai Messina

Tokyo Orizzontale di Laura Imai Messina
Piemme, 2014, 9,99 €

«La tortura il pensiero di un altro incontro fallito, di un altro contatto smarrito tra le vie di Tokyo e che ha la certezza non recupererà mai più. Perché è una donna intelligente e sa che si ritrovano solo le cose che sono state nostre e non quelle che ci hanno sfiorato.».

In apparenza “Tokyo Orizzontale” ha sei personaggi principali; in apparenza, perché fin dal titolo e dalla terza riga di questo romanzo sale prepotente alla ribalta il settimo, la città stessa. Sembra quasi che sia la megalopoli nipponica in persona, prendendo a prestito la voce di una italiana in Giappone, a scegliere di raccontare tre giorni della vita di Sara, Hiroshi, Carmen, Jun, Masako e Hideo (ingiustamente trascurati dai paratesti editoriali – sui tra l’altro cercate il mio P.S. in fondo a questo post – che accompagnano il testo di Messina); anzi, pare sia quasi il suo cuore – Shibuya – a regalarci sei battiti della sua esistenza centenaria. Tokyo è una città giovanissima dal cuore altrettanto giovane dove l’autrice ci ricorda spesso che tutto cambia, letteralmente la Tokyo del 2009 in cui questa storia è ambientata non esiste più.

Poco meno di tredici milioni di abitanti cinque anni fa, oggi forse quindici, anche solo pensare che sia possibile raccontare una storia ambientata a Tokyo dipingendo sei personaggi appena ha dello sfrontato. Per questo “abbiamo bisogno” degli scrittori, perché sono abbastanza folli da imbarcarsi in imprese impossibili. Come fai a far spiccare tre donne a Tokyo su tutte le altre? Come riesci a rendere “reali”, usando solo le parole, tre uomini fra tutti i salaryman che si uccidono di lavoro a Tokyo e per Tokyo? Su Twitter ho scambiato due parole con l’autrice dicendole che mi aveva colpito soprattutto quanto giapponesi fossero i suoi personaggi giapponesi, adesso che ho più di 140 caratteri posso spiegarle meglio questo concetto (e questo pregio di “Tokyo Orizzontale” a mio giudizio) che mi rendo conto può apparire banale.

Come ve li immaginate i personaggi dei romanzi che leggete di solito? Nella mia testa parlano tutti con il mio accento – che mi illudo sia italiano standard quando probabilmente è milanese – ricordo ancora lo shock cognitivo che ho subito quando dopo aver visto il film di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” ho capito che Alex e Aidi parlavano e pensavano con l’accento bolognese. Chiusa parentesi Brizzi. In “Tokyo Orizzontale”, non so come spiegarvelo meglio, i personaggi lo capisci che parlano in giapponese (a volte in inglese); Hiroshi, Jun, Masako e Hideo ho compreso da subito quanto mi siano estranei (e quanto sia più vicino a Sara e Carmen) leggendo i loro pensieri e osservando le loro azioni. Ovvio, per quello che posso immaginare la vita di un giovane giapponese vista dall’Italia, naturalmente.

Chissà perché. Forse perché il sottoscritto, come l’autrice, è fra i nati negli anni Ottanta e se conosco, o credo di conoscere, una cultura diversa dalla mia – lasciamo da parte quella USA – è proprio quella nipponica. Negli anni ho assorbito, e non credo di essere stato il solo, tantissima cultura pop giapponese attraverso il filtro dei cartoni animati, dei manga, dei videogiochi, dei film e degli spettacoli di Beat Takeshi o i romanzi tradotti di una manciata di scrittori come Yoshimoto Banana e Murakami Haruki: la Tokyo di Laura Imai Messina è già nella mia testa prima che sulla pagina.

Accanto alle vicende che coinvolgono i protagonisti – quando gli “eppure sarebbe stato bello” di Sara si scioglieranno in un indicativo? riuscirà Carmelita a chiedere al Perfetto Sconosciuto come si chiama? a chi Hiroshi confesserà il suo dolore? cosa vuole veramente Jun? per quanto tempo ancora si autoingannerà Masako? Hideo ha davvero rinunciato alla sua vera passione? – scorrono quelle dei tokyoti che un narratore onnisciente si preoccupa di evidenziare di volta in volta, il destino di un ragazzo appena sceso dal treno, quello di una donna che attraversa veloce la strada e così via.

“Tokyo Orizzontale” è un’opera prima bella e imperfetta, bella perché mi ha fatto viaggiare per 9700 chilometri con la fantasia, perché mi ha portato a tifare per la protagonista, perché il suo congegno narrativo anche se in apparenza complesso il giusto è preciso quanto la rete di trasporti della capitale giapponese; imperfetta perché a volte mi ha detto troppo quando avrebbe dovuto tacere, per qualche sbavatura nel linguaggio figlia forse di troppi anni di lontananza dall’Italia (ma esistono gli editor per questo), perché l’avrei chiuso a “cuore.” ma è colpa mia che [attenzione: spoiler] i finali alla めぞん一刻 non mi piacciono.

P.S. Che è successo cara Piemme? Perché avete scelto una copertina che ammicca alla valanga di titoli softcore che ci ha sommerso negli ultimi anni – il cosiddetto effetto Cinquanta sfumature – per un romanzo dove il sesso è sì presente ma di sicuro non centrale? Se l’ebook si salva riportando solo il testo dell’aletta, il libro presenta la parola sesso nello strillo di copertina, in quarta e appunto in aletta. Era davvero necessario?

Lascia un commento

Archiviato in ebook recensioni, vita quotidiana

Alessandro Gazoia, Come finisce il libro, ma non è che insieme al lettore ne abbia ancora di strada da fare?

Come finisce il libro di Alessandro Gazoia

Come finisce il libro di Alessandro Gazoia

Come finisce il libro: contro la falsa democrazia dell’editoria digitale di Alessandro Gazoia (jumpinshark)
mimimum fax, 2014, 5,99 €

«Infine molti pensano persino che il libro in sé […] sia inadatto ai tempi e destinato a perdere il suo ruolo centrale nella nostra cultura, a scivolare via e sparire […]. E pure di questo tratteremo nelle prossime pagine, sempre che, come spero, tu voglia proseguire nel nostro viaggio, nella ricerca su come continua il libro e come continua il lettore.».

Premessa, invidio a Alessandro Gazoia (aka jumpinshark sul suo blog e su Twitter) oltre alla chiarezza dell’analisi e la maestria nell’elaborazione dei dati (spulciate le note a piè di pagina di questo saggio se dubitate che scriva di cose campate in aria) anche la scrittura facile, quella che nella mia immaginazione ti porta a produrre venti cartelle di Word nel tempo che impiego a mettere sul fuoco una caffettiera e un toast nel tostapane – sono velocissimo in questa routine mattutina. Ah, sono anche tra quelli che “leggeva jumpinshark quando non era famoso” o se volete meno famoso di adesso, mi sono imbattutto nel suo blog nel 2011 mentre tentavo di capire cosa accidenti fosse Boris, una serie televisiva di cui non sapevo nulla ma di cui sentivo parlare continuamente. Negli anni Gazoia è diventato un punto di riferimento sicuro quando volevo approfondire fenomeni come il social reading ad esempio ma non solo.

Veniamo all’ebook pubblicato da mimimum fax – che ha fatto bene, benissimo a dare alle stampe un breve saggio aggiornato sui cambiamenti che sta vivendo l’editoria –, dalla citazione posta in apertura a questa segnalazione avrete capito che Gazoia alla fine dell’introduzione sia da subito onesto con il suo lettore, altro che fine del libro, il libro continua. Nelle tre sezioni che compongono “Come finisce il libro” – Pubblicare, Digitale e Miti/Social – jumpinshark fa il punto sullo stato dell’editoria all’inzio degli anni dieci del XXI secolo partendo correttamente dall’inizio (oggigiorno tutti possono pubblicare, chi è allora lo “scrittore”?), passando per lo svolgimento (che cos’è questo ebook che ci stiamo “mttendo in tasca”? più approfondimento sulla natura monopolista di Amazon in questo nuovo mercato) e una dapprima sconcertante ma poi ficcante incursione nella fanfiction (scrivere gratuitamente di vampiri in rete è bello ma attento che l’editore ti può traviare offrendoti caramelle… e un contratto).

In Pubblicare Gazoia spiega in modo esemplare allo scrittore digitale autopubblicato come “il filtro editoriale [quello che finora l’aveva respinto ndr] sia costituito da una serie di filtri sociali e culturali, e che la «gavetta» [non sia altro che] il percorso tradizionale e ordinato attraverso di essi”. Ovvero, se è vero com’è vero che pubblicare oggi sia facile, facilissimo, il mezzo digitale sia ancora lungi dal garantire quella (seppur minima) permanenza nel mondo off-line e riconoscibilità tra pari che per ora solo la pubblicazione tradizionale garantisce.

Il libro cartaceo pubblicato da un editore riconosciuto nella sua irriducibilità fisica anche se stampato in 3000 copie su una popolazione di sessanta milioni di italiani ha una penetrazione sul mercato incomparabile rispetto a un ebook – sempre che non si voglia diventare re di una nicchia… Soprattutto lascia allo scrittore il ruolo di “scrittore” mentre, come esplica molto bene Gazoia, chiunque di noi si imbarchi in una pubblicazione digitale autogestita dovrà per forza di cose diventare via via editore, editor, grafico, lettore di bozze, ufficio stampa ecc.

Nella sezione intitolata Digitale come accennato Gazoia approfondisce i formati del libro digitale (file epub, mobi, PDF ecc.) e qui a mio parere incorre in un’ingenuità che lo rivela come “figlio del libro” di carta. A un certo punto afferma: “Per bontà della discussione diamo per acquisito che l’ambiente di lettura digitale possa garantire esperienze cognitive pari a quelle di un bel manuale di storia dell’arte”. Ora, jumpinshark magnifica il grado di perfezione tecnica raggiunto dal libro tradizionale, parlando di box e soluzioni tipografiche che l’ebook semplicemente ignora – anch’io ne approfitto per consigliare ai miei lettori di acquistare solo narrativa dagli editori tradizionali e saggistica solo da editori innovativi come quintadicopertina

Tuttavia questo paragone con i manuali illustrati, mondo dal quale provengo, non me lo doveva fare. Di sicuro un ebook di storia dell’arte per ora non è all’altezza di un catalogo illustrato ma per certo anche il libro di illustrazioni più ben fatto è cognitivamente scorretto e nella sua parte più fondamentale: la riproduzione delle immagini. È sicuro Gazoia che il Bertelli, Briganti, Giuliano (per fare un nome solo) riesca a rendere la drammaticità e le dimensioni monumentali de La zattera della Medusa di Géricault? Solo l’1% dei cataloghi illustrati (per limiti tecnici ed economici) può dirsi fedele poi alla cromia originale delle opere riprodotte, provate anche voi a fare un confronto dopo aver visitato una mostra, ciò che avete visto è lì sulla pagina?

Quel che si può rimproverare agli sviluppatori di ebook, e in questo sono d’accordo con l’autore, è il lassismo nella ricerca di soluzioni teniche tali per cui acquistare un libro elettronico possa dirsi sì un investimento “pari a un libro” (da cui la discussione infinita sul prezzo degli ebook). Gazoia dedica infine l’ultima parte di Come finisce il libro a tutti coloro che si divertono in Rete a rielaborare storie e personaggi inventati da altri – da Sherlock Holmes a Twilight –, un campo in cui anche Amazon e gli editori di sempre vogliono entrare per ricavare profitto, ponendosi la domanda delle domande: “Ma siamo davvero di fronte a una vittoria della creatività e della partecipazione popolare, o queste enormi quantità di lavoro gratuito a vantaggio dell’industria dell’intrattenimento non fanno che confermare i rapporti di forza, nel materiale e nell’immaginario?”.

Come avrete capito, “Come finisce il libro” è uno strumento utile e stimolante, mi basta rivedere le note che ho preso sul mio Kobo leggendolo per capirlo, per comprendere come il libro si stia trasformando, dopo aver avuto l’illusione nel secolo passato che non ci fosse più nulla da dire – lo ricorderò per l’ennesima volta, a parlare di libri elettronici e crisi irreversibile del settore appena dieci anni fa ti prendevano per matto –, che il libro fosse un fiume ben irrigimentato da argini secolari. Ecco, il libro è esondato e per il lettore sono arrivati più vantaggi che svantaggi; giudizio mio, leggete il saggio di Gazoia per vedere in questa “liberazione” qualche ombra minacciosa in più 😉

Lascia un commento

Archiviato in ebook recensioni, vita quotidiana

CJ McCandless Memorial Foundation, Back to the Wild, ancora in viaggio con Alexander Supertramp

Back to the Wild, le fotografie e gli scritti di Christopher McCandless

Back to the Wild, le fotografie e gli scritti di Christopher McCandless

Back to the Wild a cura della CJ McCandless Memorial Foundation
Traduzione di Rachele Maggiolini
No Borders Magazine, 2014, 15,90 € (edizione limitata)

“Chris era uno di quelli che cambiano la vita degli altri, e non ha smesso di farlo nemmeno dopo” dalla prefazione di Paolo Cognetti.

Scrivo di Back to the Wild, fatalità, mentre aspetto un passaggio in auto verso Milano; a Christopher McCandless, il giovane che il mondo ha conosciuto grazie al libro Nelle terre estreme di John Krakauer e al film Into the Wild di Sean Penn la coincidenza sarebbe piaciuta. Chris aveva deciso di spostarsi per gli Stati Uniti perché “la strada sconfinata era la sua tela, la macchina fotografica il suo pennello e il suo desiderio di vivere ciò che lo muoveva“; si era dato un nuovo nome Alexander Supertramp, aveva viaggiato per due anni abbandonando famiglia, amici e conoscenti dopo essersi diplomato e, chissà, forse non avrebbe più smesso se non avesse trovato la morte in Alaska il 18 agosto 1992.

Nel 2011 i genitori di Chris hanno deciso di pubblicare un libro fotografico che raccogliesse ed ordinasse le testimonianze che Chris aveva lasciato dietro di sé, ben poco di scritto, come rimarca Paolo Cognetti nella prefazione all’edizione italiana voluta dall’associazione culturale No Borders Magazine, tuttavia quel che il nostro giovane autostoppista non ha scritto lo ha lasciato impresso sulla pellicola delle sue macchine fotografiche lasciando appunto a suo padre Walt soprattutto il compito di riconoscere e raccontare di nuovo Chris attraverso le sue fotografie. Non era un fotografo Chris, non cercava inquadrature, non si curava di tempi e luci. I suoi scatti sono documenti storici, ci riportano il mondo dalla sua soggettiva senza alcun filtro.

BTW_02

Il volume, edizione italiana dicevamo di quella originale inglese del 2011, è ben curato (è evidente l’amore che il team di No Borders Magazine ha riversato su questo progetto) e propone una selezione delle foto di Chris – non manipolate ma riprodotte così come le aveva scattate – in ordine cronologico accompagnate da brevi testi di spiegazione; mostra inoltre cartoline e altri documenti che sono stati utili a Krakauer e alla famiglia di Chris per avere un quadro chiaro degli spostamenti del ragazzo su e giù per la costa ovest degli Stati Uniti. Il viaggio di Chris viene spezzato in dodici sezioni dall’Arizona all’Alaska passando per il Messico, ogni sezione ha in apertura una mappa di Zorica Krasulja.

Difficile che un lettore all’oscuro della storia di Chris McCandless possa finire in possesso di questo libro, se però vi siete emozionati leggendo il reportage di Krakauer (o più probabilmente vedendo il film di Penn) preparatevi a ripiombare di nuovo in uno stato di ammirazione e commozione sfogliando le pagine di Back to the Wild. Ancora più delle parole la libertà e la solitudine – ma allo stesso tempo l’anelito per rapporti umani autentici – che queste immagini sgranate ci riconsegnano è totale: ecco cosa significa rinunciare a tutto per inseguire le risposte alle domande che l’essere umano di continuo si chiede: chi sono? da dove vengo? che ci faccio qui? come faccio a sconfiggere la parte meno autentica di me? (N.B. Quest’ultimo era il proposito principale di Chris).

BTW_03

Se vi definite viaggiatori, al 99% avete visto Into the Wild, se intendete domani lasciare tutto, bruciare i vostri averi, dimenticare amici, compagni e genitori, uscire di casa per esplorare il vasto mondo là fuori Back to the Wild non potrà che aiutarvi nel vostro proposito, potrebbe innanzitutto aprirvi gli occhi su cosa questo significhi davvero, perché Chris non era sceso a compromessi. Com’è noto Chris alla fine è diventato un esempio di come l’uomo trovi la sua piena realizzazione nel rapporto con l’Altro – la sua vicenda viene citata persino, un’altra coincidenza?, in un libro appena uscito di uno psicoanalista di fama come Massimo Recalcati – piuttosto che nella ricerca introspettiva individuale. Conoscere Alex Supertramp attraverso il suo sguardo, grazie alle sue fotografie, rafforza questa convinzione. Buona lettura; ah, i ragazzi di NBM ne hanno stampate solo 1500 copie, lettori avvisati…

3 commenti

Archiviato in libri recensioni, vita quotidiana